Magari questa è per me

Ora respiro. Piano, non del tutto. Scuoto il capo per allontanare ricordi pesanti, mi premo il petto per liberare il cuore.

Marzo non è un grande mese, per me: troppe ricorrenze inutili, tanta retorica. E questa Primavera che va avanti e poi corre chi sa dove. Non lo amo questo mese, è un finto “pazzo”. Io detesto i falsi.

Un mare inatteso di Sms e di altri messaggi di chat. Una, due, dieci bussate il 19 marzo. Pare quasi che alcune amiche si siano messe d’accordo per darmi una carezza nel giorno della Festa del Papà. Sono in buona fede, ci sta tanto affetto nel loro dire. Tuttavia: a me arrivano una, due, dieci rasoiate in pien’anima.

Uno dei messaggi, simile agli altri, recita in modo così struggente: «So che per te è ancora un grande dolore, ma con la stima che sai e un affetto che non muterà mai, volevo fare gli auguri ad un papà, che avrebbe tanto desiderato e meritato di veder crescere e vivere la sua cucciola. Ma sei e rimani un papà che ha un angelo in cielo. Che tu creda o no al Cielo. E Perdonami se queste parole ti potranno essere non gradite. Ma sentivo di dirle. Punto Con affetto…».

Grazie. Mi “arriva” l’affetto che ispira un simile messaggio. Però, cacchio, che male fa. Non ci penso. Mi illudo di riuscire ad addomesticare i ricordi. La mia memoria è una belva che tengo spesso lontana dal mio quotidiano, se no me lo sbrana senza tanta pietà. Un giorno di retorica festaiola passa in fretta, giusto?

Non passa mai, invece. Non passa più. E quando il calendario strappa quella data, tanto resta. La memoria si fa forte e racconta il proprio ruggire tra cuore e infinito. Immagini sbiadite riprendono colore: neon che accecano gli occhi, pioggia sulla 106, ambulanza lentissima. Taranto! Poi una voce, due, dieci. Poi solo il dolore.

Spesso accenno ai fantasmi. Dico del loro passo lieve attorno, spiego che voce abbiano. Mi fermo subito: addosso ho il peso del riso appena trattenuto di chi pensa che esista soltanto la realtà. Il silenzio aiuta in questi casi, sa come risparmiarci cattive figure. Mette in pace tutti, ci illude almeno. Il tempo fa il resto, la pigrizia chiude la partita.

Che padre sarei stato? Ecco la solita, stupida domanda. Rulla nella testa, scuote il petto, squarta la carne e sputa fiumi di sangue. Che vita sarebbe stata la mia? Federica me la trovo d’improvviso sul divano, silenziosa e caparbia, lo sguardo minaccioso di certe ragazzine quando le hai deluse per sempre. E non mi parla.

Non so che cosa ci sia oltre il Cielo. Non so, a volte, manco se Dio si sia stancato di stare appresso alle nostre follie oppure se n’è andato a farsi due passi col Diavolo. Non so se esistono gli angeli. Non so manco il colore dei miei ricordi. Non so manco quello degli occhi di Federica: l’ho vista l’ultima volta su un piano metallico ed era nera come il carbone. Mi hanno detto di uscire per i documenti…

So però che avrei voluto. E tanto. So che qualcosa è morto anche dentro. So che il silenzio ora è più pesante e la mia solitudine è più… solitudine. So che il cuore duole e la mente è un macigno. So che Federica non perdona manco a me il Destino assassino che ha avuto. Ne so di cose, vero? Bella soddisfazione.

So tanto eppure vivo di nulla. Delle lacrime di una retorica di metà marzo. Della voce che non conosco d’una ragazzina che non mi perdona. Ok: è andata così. È andata male. Cerchiamo di restare in piedi, almeno. Pure se fa un male boia, pure se una capatina in Cielo uno se la farebbe quanto meno per capire cosa ci sta davvero e se uno degli angeli ti riconosce e ti chiama “papà”.

Parole. Che scivolano via. Dure e salate. Ferro rovente che riga il viso e piomba fragoroso tra i miei piedi. Mentre socchiudo gli occhi e provo a non ricordare…

(22 marzo 2012 – facebook)

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