Qui Londra.2 – La City dei contrasti

Applaudire all’atterraggio. L’abbiamo fatto quando il nostro aereo ha toccato l’asfalto di Stanstead. Mi hanno spiegato che è una consuetudine a ogni atterraggio. Come dire che “è andata bene”: e ti credo, chi sarebbe in grado di applaudire tra le macerie di un disastro aereo? Comunque, ho applaudito anche io.

Prima di questo viaggio, in volo c’ero stato una sola volta. Lamezia-Milano e ritorno. Quella volta non aveva applaudito nessuno e già era andata di lusso che al capitano e ai suoi qualcuno non avesse tirato addosso una soppressata inacidita per l’occasione.

A Londra non esiste il bidet. Nel Nord Europa non sanno che farsene, e a volte, per strada, si… sente la sua mancanza. A Londra i ragazzini girano da soli anche in tenera età, in gruppetti allegri ma non chiassosi. Da noi, invece, ancora a 20 anni son degli handicappati che dipendono in tutto e per tutto da mamma e papà. A Londra non ci sta una stazione o una vettura ferroviaria, pure nella metro, con le pareti interne o esterne occupate da un solo centimetro quadrato di scritta o murales. Nella metropoli della Cultura Pop per eccellenza, nessuno si sente “libero” di imbrattare la città con le sue cazzate.

A Londra, nei grandi magazzini alla moda il personale è giovanissimo. È molto probabile che si giochi con dei contratti d lavoro part time, con cui sfruttare studenti o roba simile. Viceversa, dove la clientela è popolare, tutto è automatizzato, il personale è scarso. Chi ha i soldi li risparmia fino all’inverosimile, qui. E chi non ne ha è povero davvero e si arrangia come può. Chi sta peggio dorme nei cartoni sotto la pioggia o gira ubriaco nella pancia della “Tube”, come qui gli inglesi definiscono la metropolitana.

È un martedì di pioggia fitta e fredda, qui a Londra. Piccadilly è la più classica delle cartoline illustrate made in England. Ci sono tre catene che monopolizzano la ristorazione da bar, da queste parti. Il francese “Pret A Manger” e l’italiano “Nero Caffe” da una parte, l’americano “Starbucks” dall’altra. Ti servono l’espresso in bicchieri di carta. La gente ci sta ore a discutere o a lavorare sui pc portatili. Lungo la Piccadilly Circus ci sono ancora antichi negozi con gli interni in legno ma sofisticati sistemi anti-incendio per non rischiare la devastazione del 1666. A metà di Regent Street, poi, ecco il Paradiso di chi ama internet: un Apple Store su due piani in cui, da un momento all’altro, speri si presenti il fantasma di Steve Jobs. E qui mi perdo volentieri per un poco, risparmiandomi il temporale esterno.

Una piccola parentesi ad hoc. Chi ancora insiste con i freni rispetto i progressi dell’informatica se ne faccia una ragione: la Cultura umana del futuro passa per le tastiere dei pc, smartphone e tablet del Mondo. Nello Store di Regent Street c’è mezza Londra, d’ogni sesso ed età, che compra, si fa spiegare, impara. C’è un angolo per i più piccoli, una specie di auditorium dove un ragazzo spiega gratis ai presenti le ultime applicazioni. Londra comunica anche così, sta al passo col Tempo Presente, non corre il rischio di farsi cogliere impreparata: il futuro è già qui, perché qui non hanno diritto di cittadinanza certi tromboni di casa nostra che parlano tanto male del computer solo perché non sanno manco come accenderlo. E la parentesi la chiudiamo subito qua.

13 P.M., ora locale: non piove più. Al crocicchio con Woodstock Street, lunch da “Angus Steakhouse”. Nulla di eccezionale, si mangia. È che ora scimmiotto un po’ di inglese, tanto “per crederci”. Il problema è che mi lascio andare pure in pubblico e quando mi invento un po’ di dialogo, gli inglesi mi guardano interdetti. Dalla vetrata del ristorante vedo una bancarella che vende frutta. Ci sono pure le mitiche clementine. Qui sono un frutto d’élite, diremmo “da ricchi”. Alla bancarella ci vuole una sterlina per prenderne tre, di singole clementine. Al market un chilo costa nove sterline, più di undici euro circa. Le clementine di Londra vengono dal Marocco per lo più. E da noi si masturbano con l’illusione dell’aeroporto, pensa te.

Comunque, si mangia. Carne arrosto e patatine. Con le solite salse ipercaloriche. Ma questi muoiono tutti a 40 anni di infarto, considerate le porcherie con cui si ingozzano ogni giorno? Questa cosa resterà un mistero, per me. A Londra la cucina fa paura eppure, in giro, per due giorni e mezzo ho visto gente magra, non obesa come da noi. Grandi, piccoli, bambini, vecchi… Per Londra il più grosso sono io: il resto della gente non dico che sia sempre in forma, ma certo non è gonfio come il sottoscritto. Qual è il loro segreto? Forse la vita veloce che fanno? O la passione per lo sport. L’assenza della pasta li salva. O hanno solo la fortuna di avere un Dna favorevole alla linea?

Mangiamo che è meglio. E intanto torna pure un po’ di sole. Verso Carnaby Street. Una capatina da “Liberty”, e poco importa se non si compra nulla. La struttura è in legno su più piani ed è, semplicemente, fan-ta-sti-ca! Usiamolo ‘sto punto esclamativo, che ci sta che è una bellezza. A Londra in alcuni grandi magazzini si entra come se si andasse a un museo, tanta è la loro ricercatezza unita all’originaltà della cornice architettonica. Sono piccoli capitoli di Storia vittoriana che ancora sopravvivono “riveduti e (appena) corretti”. È invece una bella furbata “Desigual”: si presenta come la Patria del “politicamente scorretto”, dell’anticonformismo in stile pluri-democratico… e poi ti tira delle sberle sui prezzi che ti manca il respiro. Volete un capo anticonformista davvero e a buon mercato? Lasciate stare ‘sta catena e passate dal mio armadio in Calabria, non ve ne pentirete.

Dopo le 17,30 Londra è un Inferno. La città si svuota dei suoi pendolari e le stazioni ferroviarie e della metro sono un enorme formicaio. Si corre più veloce di prima e la gente vola via nel solo rumore delle suole delle scarpe e dell’eco dei binari. Solo i tanti turisti italiani si sentono. Gli inglesi si spazientiscono a dover dividere la fila con questi stranieri chiassosi e dicono qualcosa nei denti mentre li sorpassano a piedi. Sono tristi, ‘sti londinesi, tristi e stanchi. E ci credo: loro vengono dal primo giorno di lavoro dopo Capodanno, io sto in vacanza. Lasciali essere grigi e un tantinello incacchiati, è normale che sia così.

Verso Trafalgar Square, il grande albero natalizio pubblico di Londra. Nonché il corner che indica il conto alla rovescia verso le Olimpiadi locali del prossimo luglio. Un altro mondo è Covent Garden, il vecchio mercato coperto dei fiori oggi rimodellato a centro di vita popolare e ritrovo degli artisti. Che posto pittoresco, forse il più bell’angolo della città visto in queste poche ore. Colorato, vissuto: con i suoi piccoli negozi e alcuni artisti che cantano accompagnati da una chitarra ora gli U2 ora Sting. Se venite da queste parti, cercate sulla mappa Covent Garden e fateci una scappata: vale tutto il prezzo della vacanza.

Linea marrone prima, poi linea gialla, poi blu. The Tube ci riporta dalle parti di Kensington. In metro la gente legge. Qui leggono tutti quando non corrono. Siano i giornali gratuiti della sera, distribuiti dalle 17 in poi, siano le applicazioni dei cellulari o dei pc. A Londra il telefono più usato è l’Apple. Anche la gente anziana ne ha uno in mano e controlla gli orari, la posizione geografica, gli appuntamenti. A telefonare, per lo più ci pensano sempre i “soliti” italiani in vacanza. Che devono salutare in ogni momento una mamma, un figlio, un compare che li aspetta in Patria. Che guaio la famiglia, a volte.

Quando Londra cena, un altro mondo scende per strada. Sono coloro che dormono nei cartoni. Sono coloro che puliscono la città. Qui le maestranze meno nobili sono tutte di etnia africana o asiatica, spesso arabi. In questo inglesi e italiani si somigliano: in culo che i londinesi fanno i lavori più duri. Quanto meno, però, loro li rispettano gli stranieri addetti alle mansioni meno qualificate. Anche in questo siamo nel Mondo, qua. Vivi e lascia vivere. E soprattutto non fare il razzista con chi ti leva la cacca dalle strade, se non vuoi affogarci domani. Furbi ‘sti londinesi, vero? Altro che quegli “sperti” degli italiani. E con questo pensiero, mi abbandono alla nuvolosa notte inglese.

(3 gennaio 2012 – facebook)

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