Qui Londa.1 – Libertà e… aglio

La prima cosa che ti colpisce a Londra è la mancanza di cassonetti. Poco dopo le 21, l’immondizia viene riposta in sacconi neri di plastica nelle traverse e se la vengono a prendere. E basta. Senza troppo casino.

Un’altra cosa strana è vedere passare la Polizia su coloratossime auto rosse. Sì, poi ci stanno i grandi taxi neri e i bus a due piani. Poi si cammina a sinistra per strada. Ah: esistono ancora le cabine telefoniche.

Poi ci sono i treni. Pare niente. Dall’aeroporto di Stanstead, ogni 15 minuti, ne parte uno che porta alla stazione di Liverpool Street. È un convoglio per pendolari, come da noi una “Littorina”. E viaggia con poca gente a bordo: dopo le 18 locali salgono a bordo venti, trenta persone al massimo. Ma viaggia, vivaddio. E nessuno fa i conti sulle perdite e sui ricavi.

Fa freddo, a Londra. Ma in questo giorno tutto intero che giriamo ci sta un sole piacevole. Il cielo è di un azzurro tenue, appena macchiato da qualche nuvola che il vento freddo dell’Oceano porta via in fretta. In metro arrivi ovunque e anche quando vai a piedi non è difficile arrivare alla meta. Qui ti fai capire con facilità e pure io, che non parlo inglese, non mi perdo. La gente nei bar rigurgita caffè chilometrici e ciofeche grigiastre che definiscono “cappuccini”. Già alle 11 c’è chi pranza così o con il tradizionale “fish & chip” è un misto fritto salato di pesce impanato e patatine.

L’ho mangiata ieri sera una cosa del genere e non m’è dispiaciuta molto. Ho affogato il tutto con delle salse piccanti, roba da far sorridere i fan della stipsi. Ci ho bevuto della birra rossa della Giamaica. La cameriera è stata gentile. Capiva pure un po’ di italiano e questo mi ha salvato. Qui lo capiscono in tanti, l’italiano. Ci sono finanche i segnali turistici nella nostra lingua. Anche se vai a fare il biglietto della metro alle macchinette, ci sta l’opzione in italiano. E quanti ce ne siamo in giro, del resto, di italiani. Tanti. Ieri, il nostro aereo di Lamezia era pieno come un uovo. Ho viaggiato con un ragazzino di Polistena che vive vicino Londra: fa la prima media e ancora non sa dire se gli piace abitare più in Inghilterra o in Calabria. Lo capirà col tempo.

Basterà fare i conti con i servizi pubblici che vanno bene e il Mondo che convive qui rispetto allo sfasciume calabro per decidere… e deciderà. Certo è che qui si paga tutto, pure l’aria. Però, se stai fermo a un cartello a cercare la direzione giusta, ecco che si avvicina qualcuno con la pettorina gialla e ti consiglia. Si va veloci, a Londra. È un fiume umano che si muove celere in tutte le direzioni. Guai a chi si ferma. Si parla poco e si fa tanto qui.

Dalle parti della Cattedrale di San Paolo protestano per il Welfare che va a puttane anche da queste parti. Non vi aspettate cortei, cori e comizi. Hanno montato una enorme tendopoli e ci abitano da giorni. Nessuno si sogna di levarli da qui. A Roma, per dire, già sarebbe arrivata la Celere a randellare tutti. Qui no: loro non danno fastidio e non ne hanno manco in cambio. La tolleranza è il Credo di questa città. Vivi e lascia vivere.

È tutto un Paradiso in terra questa Londra? No, è ovvio. Intanto è una trappola per chi ha un handicap motorio: giri ed è tutto un’esplosione di scale e gradini. Questo è il regno delle barriere architettoniche. O forse ci saranno soluzioni ad hoc di volta in volta e io non riesco soltanto a capire di cosa si tratti? Una cosa è certa, andando oltre: ti stombazzano il fatto che Londra sia la città europea con la più grande rete di nodi gratuiti per andare su internet e scopri che sia la più amara delle bufale. A gestire tutto è un’applicazione di nome “Cloud”. Cerco di capire come approfittare della cosa e non ci riesco manco con l’aiuto di San Magno Martire, il Beato legato all’incendio della vecchia City nel 1666. Entro in un corner informativo per turisti e chiedo aiuto: un simpatico operatore mi spiega che “non funziona bene e bisogna comunque abbonarsi”. E almeno un mito londinese è bello che sepolto.

Si mangia al Café Rouge tra il Millennium Bridge e St. Paul. Carne arrosto e patatine. E pane integrale su cui inventarsi una spalmata di burro. La pasta? E che è, mò, ‘sta “pasta”? Stamattina ho fatto colazione all’inglese e ci ho messo ogni porcheria possibile: pancetta, uovo fritto, fagioli, funghi, salsiccia, salsa dolce. Me lo sono promesso alla partenza, mi adatterò alla City. E crolli il Big Ben se non onoro la parola data. A proposito, bello il Big Ben. Se ne sta quasi anonimo all’uscita della fermata di Westminster della metro. Centinaia di gabbiani ci volano attorno. I turisti lottano con i riflessi del sole per azzeccare lo scatto fotografico del secolo.

L’aglio. Se gli odori fossero note, proprio l’aglio sarebbe una delle prime colonne sonore di questa città. Intanto per quello che si… sente in alcuni negozi. Quelli che vendono alimentari, souvenirs o i piccoli market di quartiere sono tutti gestiti da pakistani, indianini e comunque musulmani. La lor dieta predilige ciò che oer loro è aroma quotidiano e per noi latini è fetore, alla lunga. È una questione di tradizione e di abitudine. Harrods è un luogo fantastico. C’è mezzo mondo checi gira dentro ma per comprare ci voglion sold, tanti soldi. Ce li hanno alcune eleganti signore e signorine col capo protetto dai classic veli della loro religione. Truccate, belle, con le labbra che son un fuoco di rossetto lucente. Eppure… ti passano vicino ed eccco quella fastidiosa scia d’aglio. Alla fine ti ci abitui pure tu.

Il 2 gennaio made in London finisce nel morbido della mollica made in Mac Donald’s. Per risparmiare un po’, certo: ma anche perché i piedi piangono per la stanchezza. Fa freddo di nuovo e il televisore dell’hotel trasmette solo cinque canali in inglese. Poco importa. La Coca Cola aiuta a rilassarsi un po’. Doccia e letto. La notte è amica dopo la lunga zingarata per la City. Good night.

(2 gennaio 2012 – facebook)

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