Ma davvero fate?

La libertà. Avremmo dovuto insegnare solo questo ai giovani. E la dignità. Punto, niente di più.

Sicilia. Un Liceo da intitolare per mettersi alle spalle un nome legato al peggior Ventennio. Chi scomoda la Montalcini, chi bussa alla memoria di Impastato. Alla fine si chiede agli studenti di decidere: ciò che partorisce la loro votazione lascia l’amaro in bocca. Perché a stragrande maggioranza non vogliono frequentare una scuola che si chiami Peppino Impastato.

Figura divisiva. Per la sua militanza politica in Democrazia Proletaria. Insomma, troppo comunista. E la lunga militanza nell’esiguo esercito civile della lotta alla Mafia? Non conta, non è un simbolo da rinnovare: i giovani di Partinico e dintorni hanno premura di non sporcarsi le mani con la politica. E intanto se le sciacquano con il sangue d’un Passato scomodo, da archiviare in fretta.

A ciascuno il suo. Se avessimo insegnato nelle scuole, come un tempo, alcuni valori forti, forse la decisione dei giovani di quel Liceo sarebbe stata differente. Avrebbero scelto bussando alle loro anime, urlando la libertà di chi non dimentica, difendendo la dignità di chi non ha accettato le regole dei boss di ieri né ascolta le sirene di quelli di oggi. Se: ma da anni Roma indica altre strade per le nostre aule e la Scuola insegue numeri e standard che premiano tutto tranne il talento.

Allora a insegnare sono i media. O i Social. Sono gli slogan le nuove regole lessicali: e se va di moda definire pidocchio sinistroso l’avversario, allora tutto diventa lecito e anche il peggior messaggio non fa più venire il mal di pancia a nessuno. Peppino eroe anti mafia? Certo, ci mancherebbe altro: ma pure un tantinello di parte, comunista, e forse è meglio scegliere un’intitolazione più… morbida.

Ma davvero (ci) fate? E davvero l’opinione pubblica si interroga sulla logica di un simile No? Impastato è stato divisivo solo perché ha scelto da che parte stare, ha deciso di rifiutare una frazione del suo popolo colluso col malaffare. Potete intitolare la scuola di Partinico anche a Michel Platini, ci mancherebbe altro. Ma non scomodate certe parole. Peppino divisivo? Certo che si. Nel 1978 come nel 2024. Perché in guerra si fanno scelte. E si muore: anche quando si continua a respirare.

Il corpo di Impastato viene ritrovato senza vita il 9 maggio 1978: la stampa non ne parla perché quello stesso giorno, circa dieci ore dopo, a Roma viene restituita la salma di Aldo Moro. Comunque, finanche i carabinieri in un primo momento non hanno dubbi: Peppino è esploso con la dinamite con cui voleva compiere un attentato lungo la ferrovia di Cinisi. Un pericoloso comunista e terrorista che si è fregato con le mani sue, insomma. Si può archiviare.

Invece no. Peppino l’ha ammazzato la Mafia. La piovra che stritola vite, idee, economie e finche la memoria d’un certo Sud. L’ha fatto e lo fa. Magari con il doppio petto a volte, non più con la coppola e la lupara. Magari studiando e laureandosi, magari respirando l’aria serena della buona borghesia meridionale. Di sicuro, non andandosi a invischiare con il divisivo nome di turno. E amen.

Cinisi, tomba di Impastato: Rivoluzionario e militante comunista – Assassinato dalla mafia democristiana. Si, decisamente divisivo

Un commento su “Ma davvero fate?”

  1. I giovani odierni, sappiamo bene di chi sono figli. I loro stessi genitori sono nati nell’era del berlusconismo, all’insegna dell’apparire e del ” che me ne frega”, Gramsci li avrebbe chiamati ” Indifferenti”. Peppino Impastato, in Sicilia, lo conoscono perché loro conterraneo e nell’immaginario collettivo, nonostante le sentenze giudiziarie abbiano stabilito che fu la mafia ad ucciderlo, rimane un comunista folle e fuori dagli schemi, e visto il periodo storico, anche terrorista. Peppino è stato divisivo e lo è ancora per chi è fascista e anche mafioso. Noi avremmo dovuto e dobbiamo ancora insegnare ed educare al pensiero critico, per cui di conseguenza, anche la libertà. La libertà di dissentire, la responsabilità di essere uomini pensanti e non facente parte di quella valanga di merda di cui Peppino parlava.

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