Se l’Onda respira

La natura dei Versi è la loro magia. Anche per come ti arrivano incontro, improvvisi che quasi ci inciampi.

Bussano, inattesi, sono loro. Una brezza salina costretta in un bustone postale. Le mani che violano quell’involucro tenace. Ed eccoli: Pelle di Mare, di Manuela Fragale. Il primo pensiero è una goccia di nostalgia per il passato comune a metà tra lo Jonio coriglianese e Cosenza, ai margini del comune impegno per sua maestà la Cronaca. Poi, il tuffo nella carta appena increspata da Zefiro, caro agli Dei.

Manuela la conosco da tanti anni e da troppo tempo ci siamo persi di vista. Sono cose che capitano, dirà il saggio dalla risposta pronta: ed è vero. Sempre ne ho apprezzato la professionalità: prima come giornalista, poi come formatrice. In passato già mi sono imbattuto in qualche sua strofa. Tuttavia, la sorpresa dei suoi ultimi Versi è di quelle che levano il fiato.

Nel bene e nel male. Il guaio (qualche volta lo è…) è che l’Autrice è una persona colta, anche troppo. Il suo bagaglio di conoscenza e di passione per ciò che è la Storia del nostro Sud spesso sgomita nei suoi Versi e reclama una prosaicità che un po’ ruba spazio alla purezza poetica del suo pur notevole sforzo letterario. Ma quando la nostra dimentica ciò che sa… allora (appunto) è magia.

In questi casi, e di gran lunga è nella maggior parte dei Versi che ci vengono proposti, l’Onda è uno schiaffo gelato sulle nostre gote, una lama incandescente nei nostri animi. Succede soprattutto quando il mare raccontato è quello delle radici dell’Autrice: lo Jonio rosetano, quello azzurrissimo del mare tarantino degli antichi Ateniesi. In questi momenti la Poetessa propone un’Elegia moderna dai toni alti ma mai retorici. E il lettore si sente parte di un viaggio che d’improvviso è anche suo.

Traccio passi, linee e figure / che non puoi vedere / nella tua anima, / semplicemente amandoti: cos’è questa alchimia? Risposta non c’è, non nel senso di un’unica e confortante soluzione del rebus che in quel suo mare la Fragale va a sua volta cercando, forse invano. L’Autrice sale sullo stesso sperone di roccia cara alla dea terrena della Poesia greca e come Saffo osserva barche e barcaioli. Come lei ama e odia, sogna e resta delusa. Prima di ripartire, ogni volta, promettendosi un’altra corrente e un porto amico, infine.

Non si lancia dabbasso, però, da quello scoglio. Scivola dabbasso e raggiunge una nuova spiaggia. Sceglie la barca più leggera e ci trascina su quel legno che promette un destino incerto e per questo affascinante. Remiamo. Mentre il mare dei Versi che ci offre va increspandosi. Ci conviene accettare l’invito di Manuela Fragale verso un simile infinito? La ragione urla di non farlo. Ma la Poesia, lo abbiamo detto, è una magia che come le Sirene omeriche sussurra cattivi consigli.

E allora, che fare? Ci abbandoniamo?

L’anima dirà grazie

ad ogni goccia sparsa

su un gioco perverso

di gravi persistenze

e lente dissolvenze.

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