Immaginate una casa in collina. Una finestra: l’odore serio di carta e di libri. E un Uomo che scrive.
Quell’Uomo osserva e pensa. Rilegge ogni istante della propria Vita e della propria Conoscenza. Sa farlo: è una partita che si gioca da sempre, senza grandi sconfitte. Ha dalla sua un bagaglio di Letture e di Lacrime che hanno scolpito giorno dopo giorno la sua Anima. Sa come addomesticare i rischi di una Scrittura aliena al gusto del lettore più superficiale.
Leonardo La Polla ce lo immaginiamo così. Lunghi pomeriggi a fissare ora il nero di qualche libro, ora la tastiera di un pc, ora la fuggevole linea del suo Jonio che buca i vetri di una finestra che dà sul Golfo di Taranto. Autoritratto – forse diario è il frutto, l’ennesimo, di questo coltivare la propria stagione della maturità. Non è un libro facile: non perché abbia mire elitarie, di quelle tanto care a certi salotti che confondono lo sproloquio con il dibattito culturale.
Autoritratto è un’Opera non facile perché esige cura nel percorso che intraprende ogni lettore. Si tratta intanto, secondo uno schema caro all’Autore, di un prosimetro: alla pagina scritta in Prosa si affianca il Verso. La Polla si specchia in questo gioco di stile: da una parte la descrizione del Tempo, del Luogo, del Respiro: dall’altra la mediazione del Cuore. Su tutto, la Parola, autentica sacerdotessa di questo rito laico che sa di prodigio.
Perché questa non è una semplice antologia personale. No. La Polla lo chiarisce subito, sin dalla prima di copertina: la sua è una ontologia della parola che va oltre la ragione. Traducendo, possiamo dire di essere di fronte a una indagine sul (proprio) Essere, un processo legato alla Scrittura ma ancora di più alla Filosofia: l’Autore, lo abbiamo detto, osserva e pensa. La sua è una Riflessione su quanto è stato Ieri, ciò che è Oggi.
Ne sortisce una metaletteratura, un mondo di espressioni e analisi che si contorce attorno alla Memoria di chi scrive: un fiume che gira attorno al proprio corso senza mai trovare del tutto il proprio sbocco a mare (pure perché non lo cerca, non è il suo vero traguardo). Così il Viaggio del nostro nuovo Ulisse supera la geografia convenzionale e ogni capitolo si scopre un tassello della metafisica di cui è intriso. Se il lettore cerca un luogo ameno, si tenga lontano da questa tempesta di La Polla.
Autoritratto è una tela dai colori forti che proprio questo mare in burrasca ha come modello. Va fissata più volte: va accarezzata col palmo della mano per scoprirne le rughe prodotte dalla spatola. Racconta di pietre salate, creta nei vicoli del paese, dialetti mischiati a fare di un accento mille dizionari. Però è un trucco: il vero paesaggio è altro. Nella Parola che si fa pigmento sulla tavolozza c’è l’Autore, quanto ha capito e mette ora a disposizione di chi vuole leggere. C’è il suo vero Mondo, fisico nonostante la sua assenza corporea.
Non è un libro facile come non lo è il Viaggio che ci sfida a fare, Autoritratto. Lo stesso è affascinante: perché, ad averne cura, ci scrive e legge dentro. In quell’Oltre che è parte stessa dell’Arte di chi sa addomesticare la Parola.