Intanto sia chiaro: non sto per raccontare una barzelletta. Ma una cosa concreta, davvero successa. Anzi, più di una sola cosa.
Sono nel cortile della palazzina villapianese dove abito. Una famiglia campana sta facendo i bagagli per tornare a casa. Ha resistito fino agli sgoccioli dell’estate. Ora c’è la «vita d’ogni giorno» che reclama i suoi tempi. Ci salutiamo: una battuta, qualche convenevole.
«Le vacanze sono finite, eh?», dico come un fesso. Sono convinto di fare la mia sporca figura scomodando la frasetta di sempre in questi casi. Il mio coinquilino stagionale si fa una bella risata alla faccia mia: «Veramente io sto sempre in ferie».
‘Sti Napoletani, penso io, sempre la battuta pronta. Battuta? No. Il mio interlocutore mi spiega che lui le «sue ferie» davvero se le fa in continuazione. «Io sono assunto come assistente amministrativo». Fa il segretario da qualche parte: madonna mia, vuoi vedere che sta nelle scuole di Napoli?
Meno male, mi dice di «No». Lavora alle Poste, non mi dice dove con precisione. «E lei come fa a stare sempre in ferie?». Sorride ancora di più, fa un segno strano con il gomito e me lo spiega: «Un permesso di qua, un po di famiglia, una malattia che si inventa, ferie arretrate… e si fa».
Ferie che? Arretrate? Se ci fosse Bossi, mentre il mio simpatico campano parla, di sicuro gli metterebbe le mani al collo. E il ministro Brunetta, non aveva detto che «i fannulloni hanno vita breve»?
Sto diventando razzista, lo ammetto. Intanto ce l’ho con i… meridionali. Essere sempre furbi non fa per me. Qualche regola in più non guasterebbe. Lo so che qua da noi non abbiamo niente, ma mica questo ci autorizza a essere senza regole anche nelle stupidate.
Ce l’ho poi con chi in treno, per esempio, mette i piedi sui sedili. «Tanto sono sporchi». Lo sono, è vero: l’altra mattina sul Regionale per Catanzaro Lido è caduta una ragnatela in testa a una signora di Corigliano. Sono lerci, i nostri treni. Un buon motivo per insozzarli di più con le nostre scarpe?
Ce l’ho con quelli che vanno su internet e sputano sentenze, vanno ai bar e sanno dirti come si può salvare l’Italia del Sud, guardano la partita con te e ti spiegano «quando è in fuori gioco l’attaccante». Ma una famiglia ce l’hanno, questi qua? Allora ci stiano di più assieme, no?
«Può essere che a ottobre, se è bel tempo, ci veniamo a fare una capatina. Dove posso comprare del pesce buono?». L’inquilino napoletano non ha dubbi, tra un mese la troverà una pezza giustificativa credibile per scappare dal lavoro nelle Poste.
Nel nostro Sud le cose vanno così, ammettiamolo. Ognuno è convinto di avere tutti i diritti. «La mia libertà guai a chi me la tocca». E via a parcheggiare in doppia fila, non rispettare il turno, sporcare le aiuole, tenere lo stereo di casa a palla. Oppure «divertirsi un po’, così alla buona, tanto che male vi faccio?».
Allora uno sale su una collinetta e comincia a fare il tiro a segno col fucile da caccia o una pistola. Uno, due, cento spari. Che bella giornata, che sole. Dabbasso c’è la 106, le auto che passano. Un ragazzo che se ne va per i fatti suoi. Un proiettile che impazzisce. Un attimo e una vita è spezzata. «Ma mò che c’entro io? Sarò libero o no di sparare ogni tanto?».
Si, sto diventando razzista. E i terroni non li sopporto più. Il Mezzogiorno è bello ma ‘sti quattro mafiosi locali lo hanno cementificato, avvelenato, violentato. Una vergogna. E poi ridono, si vantano pure quando fanno qualcosa contro le regole.
Come quello delle Poste. «E voi non fate così? Sbagliate…».
(22 settembre 2009 – il piccolo del mezzogiorno n. 245)